Giampiero Mughini è fra le voci più autorevoli del Docufilm Lotta Continua che andrà in onda questa sera alle 21:25 su Rai Tre. Il noto giornalista che in quegli anni era direttore del giornale voluto da Sofri, ha scritto molti libri in cui critica ferocemente quegli anni così pregni di politica attiva tra i giovani.

Le parole di Giampiero Mughini

Ma vediamo cosa ha dichiarato Giampiero Mughini a proposito di quegli anni e del docufilm che andrà in onda questa sera: “Lotta Continua non ci ha lasciato nulla. Le nostre vite sono state segnate, ma nel sentire diffuso non c’è più niente. Oggi un ragazzo di 25 anni non ha idea di cosa sia. I libri di Adriano Sofri, ad esempio, sono importanti, ma sono i suoi libri, non di Lotta Continua”.

Poi il giornalista e scrittore passa ad analizzare il clima che si respirava in Lotta Continua prima dell’omicidio Calabresi che segna la fine e l’inizio del terrorismo rosso in Italia: “C’era un’ondata generazionale che ha investito tutta Europa con effervescenze non da poco.

Ho dedicato la mia vita alla storia della mia generazione e molti dei terroristi li conoscevo già prima. Come Valerio Morucci, a lungo mio amico dopo che si era dissociato dal terrorismo. Lo ammiro di più rispetto a quelli di Lotta Continua che prendevano le distanze dall’omicidio Calabresi.

È stata una caratteristica di un momento della storia italiana. Non solo di Lotta Continua che tuttavia ha all’attivo o al passivo l’omicidio che fa da atto di nascita del terrorismo rosso. Quando una mattina una persona attende

Il commissario Calabresi, va alle sue spalle e gli spara. Molti militanti di Lotta Continua andarono via per fondare Prima Linea, gruppo terrorista che ne ha fatte tante quanto le Brigate Rosse

Mughini poi parla anche della differenza in Lotta Continua tra i Leader e i militanti. Dato che nel docufilm il giornalista fa una descrizione molto critica dei militanti che in quell’epoca erano davvero tanti e diciamo non sempre animati da buone intenzioni.

“Adriano Sofri era il capo dei militanti, fra i talenti della mia generazione. Insieme a Marco Boato, oppure Enrico Deaglio, bravissimo direttore del giornale, Mauro Rostagno e il torinese Guido Viale. Il “militante” è il personaggio medio che nei cortei gridava cose

Che oggi non ricorda nemmeno più, come “uccidere un fascista non è reato”. Aveva una responsabilità anche chi lasciava gridare queste cose. Tante parole erano usate con leggerezza e io ho sempre pensato che le parole fossero importanti”.

Poi in conclusione Mughini passa a criticare apertamente il movimento di cui lui stesso ha fatto parte: “Credere che un gruppetto potesse diventare l’attore protagonista di una storia complessa come quella di una democrazia industriale moderna era pura follia.

In Italia, a quell’epoca, c’era il più grande partito comunista europeo e c’era un partito socialista che ai tempi di Bettino Craxi era molto vivo. Il movimento invece pensava che questa fosse robetta”.

Insomma nel docufilm troveremo un Mughini molto critico nei confronti di quel movimento che in un modo o nell’altro lo ha reso la persona che è oggi.

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